15/05/2020

COVID-19 RISPOSTE COMPORTAMENTALI E PSICOPATOLOGICHE

Gli eventi legati al Coronavirus, ad oggi, presentano uno scenario di contagio a livello mondiale di significativa rilevanza ed incidenza. Poche le aree geografiche nelle quali le manifestazioni del virus non siano ancora note attraverso il rilevamento dei sintomi derivanti dall’infezione.
La maggioranza del genere umano ha incominciato a prendere consapevolezza del momento particolare che stiamo attraversando, ma le differenze etniche, culturali e sociali portano gli individui a comportamenti difformi dalle regole che dovrebbero essere prese in considerazione ed adottate come linee comuni di difesa per il contenimento del contagio.
Di fronte ad una nuova patologia, per la quale le risposte farmacologiche appropriate sono in corso di studio con le “sperimentazioni” in laboratorio, gli interventi di contenimento sono in “emergenza” ed il risultato atteso della guarigione è molto lento rispetto alla perdita di vite umane in un’escalation, la paura prende il sopravvento, si trasforma in panico e le risposte comportamentali risultano inadeguate e paradossalmente favorenti il contagio.
Per fornire un chiarimento, in chiave psicologica, è necessario tenere a mente che le aree del nostro cervello più antico, ove risiede l’ipotalamo, sono collegate agli affetti, ai sentimenti ed alle emozioni, ma sono anche collegate agli ormoni ed al sistema immunitario. Ed è per questo che, in presenza di “ansia, stress e depressione”, il rischio di patologie è molto più alto. Continuando a mantenere il pensiero orientato al virus creiamo dentro di noi uno stato di dipendenza dalla paura, paura di essere invasi, di essere contaminati, di non sopravvivere, che prende il sopravvento ed indebolisce profondamente il sistema immunitario rendendoci maggiormente vulnerabili.
Ed è per questo che l’intervento di ogni singolo su sé stesso deve essere quello di attuare pensieri corretti al fine di generare emozioni fondate. La paura è un’emozione importante, potente ed utile, ci consente di percepire un pericolo, quindi funzionale ad evitarlo e a garantirci la sopravvivenza. Un eccesso di paura è controproducente, ci mantiene attivati ininterrottamente, ma soprattutto non ci consente di proporzionarla al pericolo. Avere la capacità di valutare il pericolo ed attivarsi al riguardo tramite l’appropriata conoscenza che nasce dall’esperienza, ci porta ad azioni del tipo “attacco o difesa” ovvero di decidere di affrontare o di evitare il pericolo.
L’attuale situazione epidemiologica del COVID-19, non trova riferimenti tra le nostre esperienze pregresse, ma trova fonti di riferimento attraverso la divulgazione delle informazioni fatte dai media che non sempre sono uniformi e coerenti, anzi a volte “distorte” dai messaggi che circolano nel WEB attraverso la moltitudine di applicazioni disponibili in rete. Sul come intervenire per non lasciarsi prendere dal “panico” non è proprio così semplice, ma attivare un pensiero concreto, orientato e riflessivo sicuramente concorrerà alla gestione del problema attraverso una modalità appropriata al fine di adottare comportamenti responsabili e protettivi per sé e per gli altri. Questo non significa che ci deve fare abbassare la guardia, le possibilità di contagio sono reali ed esponenziali, ma se attuiamo comportamenti adeguati di prevenzione e contenimento, così come suggerito dalle fonti autorevoli e scientifiche, il rischio di contagio si riduce notevolmente sino ad azzerarsi. Sottovalutare il problema non è risolutivo, porta a comportamenti inadeguati, ma anche sopravvalutarlo porta allo stesso risultato, aumenta la paura, l’ansia la fa da padrone e si innesta il ciclo di inefficienza portando ad attuare comportamenti di ritiro sociale che ci porta a vedere l’altro come il possibile “untore”, portatore del contagio.
Mantenere la giusta considerazione del pericolo, ci consente di destinare le nostre energie a favorire quelle azioni necessarie a cogliere, nel dato momento e nel contesto, le parti migliori possibili e ad attivare la cosiddetta “Resilienza” ovvero la capacità di far fronte in maniera concreta e positiva ad eventi traumatici attraverso la riorganizzazione della propria vita rispetto alle difficoltà del momento.
Per cui, distrarsi dal pensiero fisso sul Coronavirus, come agente patogeno di morte certa, porta ad attribuire allo stesso la considerazione consapevole di quello che è: un virus a particolare incidenza epidemiologica che, se non contenuto, è di facile e rapida diffusione non solo in ambito locale ma mondiale così com’è avvenuto.
Affermare che “non è letale” è un errore, ma come più volte dichiarato dalla OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e da altre fonti autorevoli in ambito sanitario, è un virus contagioso ad elevata ncidenza, ma le persone che si ammalano, fatte salve la presenza di altre patologie (comorbilità), superano il contagio con lievi problemi.
Sicuramente, però, occorre tenere a mente sia il dilagare del contagio, al di là delle polemiche che quotidianamente i media mettono in risalto attraverso le informazioni riferite alle azioni intraprese o all’organizzazione dei presidi sanitari, sia che la carenza strutturale di “reparti ospedalieri” e dei supporti necessari ad intervenire come azione di cura da infezione da Covid-19, sono insufficienti a fronteggiare l’emergenza.
Ed è su questo aspetto che in modo consapevole e responsabile ogni individuo deve concorrere apportando del suo: il rispetto delle regole al momento ritenute le più’ idonee per concorrere a contenere il dilagare del contagio da Coronavirus.
In tal modo, oltre ad evitare di essere contagiati, l’azione porta a salvaguardare le persone anziane e quelle affette da patologie croniche o con multi morbilità ovvero con stati di immunodepressione congenita o acquisita.
Farsi contagiare dal panico collettivo sotto l’aspetto psicologico ci porta ad ignorare il dato oggettivo e il nostro pensiero critico diventa incoerente, alimenta il voler attuare comportamenti per contenere l’ansia: l’attivazione può generare stress e nel voler fare qualcosa a tutti i costi si finisce con il fare cose sbagliate, perdendo di vista le azioni protettive più comuni ampiamente divulgate da parte degli operatori sanitari.
Per cui, la regola base è quella di orientarsi a mantenere un “equilibrio” tra il sentimento di paura (rischio di morte) ed il rischio oggettivo concreto del contagio.
Tenendo, altresì, a mente che l’azione protettiva rivolta ai nostri cari, alle persone che ci circondano, se eccessivamente manifestata e posta in essere può generare in essi uno stato ansioso significativo, il quale, se non hanno sviluppato una capacità personale di contenimento, può generare “depressione”.
Mantenersi informati è doveroso, ricorrere continuamente alla ricerca di informazioni e accettare per buone quelle divulgate con facilità ed in modo irresponsabile da parte di alcuni individui è controproducente,
alimentano stati di “destabilizzazione emotiva”, per cui occorre privilegiare canali di informazione ufficiali ai quali è consigliabile ricorrere poche volte al giorno.
Un’altra variabile importante è quella del bisogno di aiuto. Saper chiedere aiuto per le necessità del momento è importante e lo è anche sotto l’aspetto del confronto per chiarirsi, per ottenere un sostegno, una consulenza, la gestione delle emozioni forti: chiedere aiuto non è un atto di debolezza ma un atto di forza orientata alla salvaguardia di sé attraverso un’autentica responsabilità.
E’ da tenere bene a mente che l’aiuto va richiesto a professionisti del settore, la cui competenza è certificata dalla formazione curricolare universitaria.
Prendersi cura di sé e degli altri è il fondamento della relazione tra individui, sono alla base della vita; possiamo essere di aiuto solo se il nostro benessere psico-fisiologico è tutelato ed ecco perché è importante in un momento di criticità - bisogno saper chiedere aiuto come in questo particolare momento in cui un nemico invisibile, ma subdolo come il Coronavirus, ci sta mettendo a dura prova.
L’incertezza data dal non sapere quanto durerà questo momento e su cosa ci aspetta o ci potrà accadere domani, genera ansia, stress, paura e rabbia, quest’ultima come espressione di reazione.
Le conseguenze potrebbero essere quelle di dover poi affrontare l’aspetto traumatico, per coloro i quali non sono riusciti ad essere resilienti, i sintomi del vissuto o derivanti dall’esperienza della perdita di un caro e, quindi, bisognosi di elaborare il lutto.
Alla stessa stregua, come prospettiva ulteriormente destabilizzante, concorre la crisi che si profila nel mondo del lavoro e dell’economia.
Condizioni che sono da tenere a mente, in quanto richiedono un cambiamento – adattamento necessario, sapendo che si può contare sull’aiuto dei professionisti del caso, ai quali rivolgersi per la componete post-traumatica affinché lo stato di disagio e criticità non diventino uno scoglio insuperabile, inficiando la qualità della vita.
In ultima analisi, ma non per ultima, assume rilevanza anche il contesto restrittivo all’interno del quale l’individuo sia esso singolo che in gruppo: coppia o nucleo familiare con figli, nel periodo di permanenza nelle mura
domestiche sta affrontando e condividendo le criticità del momento.
La convivenza obbligata e permanente può essere veicolo di stabilizzazione o destabilizzazione socio-gruppale a seconda dei vissuti personali di ogni singolo; in momenti come questi il rischio è che emergano con tutti i loro lati oscuri.
Di sicuro, il compito primario derivante dalla funzione genitoriale deve essere quello orientato al benessere ed alla salvaguardia della salute dei minori ai quali l’unico messaggio che bisogna cercare di passare è di equilibrio emotivo e gestione delle emozioni, a prescindere dalla relazione stabile o meno della coppia.

 

Pietro Tranchitella - Psicologo-Psicoterapeuta

 

 

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